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Roberto Sanseverino: «In Campania solo ora stiamo recuperando un ritardo di vent’anni»

di Giulia Calvaruso
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Sessantadue anni, napoletano, laurea in Giurisprudenza alla Federico II, Roberto Sanseverino è al timone della Eitd scarl

Quando ha iniziato a occuparsi di formazione e consulenza?

«All’inizio degli anni ’90 e il confronto con le esperienze delle altre regioni è stato determinante per comprendere a fondo le diverse politiche formative già allora adottate a livello locale».

Come è cambiato il settore della formazione e della consulenza?

«In Campania solo recentemente si è cominciato a parlare di formazione come vera e propria “politica attiva” del lavoro. Percorsi come l’istruzione e formazione professionale, fino a pochi anni fa, erano esclusivamente in capo al settore pubblico. Nel frattempo, in molte regioni del Nord, il privato sociale si è organizzato, è stato normato, ed è diventato un attore riconosciuto. In Campania, purtroppo, stiamo solo ora recuperando un ritardo di oltre vent’anni, e spesso lo facciamo solo come risposta alla dispersione scolastica. Il cambiamento culturale ha bisogno di tempo».

Quali caratteristiche non possono mancare in un percorso formativo?

«La formazione deve sempre puntare alla crescita personale e professionale ed è essenziale un coordinamento efficace tra tutti gli attori coinvolti, inclusa l’impresa che spesso accoglie i partecipanti durante lo stage».

In che modo le istituzioni potrebbero rendere più efficaci gli interventi nell’ambito della formazione?

«È fondamentale puntare verso la costituzione di un’Agenzia nazionale per le politiche del lavoro realmente operativa. Un primo tentativo con Anpal non ha prodotto i risultati auspicati. Servono politiche nazionali coordinate, in grado di sostenere infrastrutture formative stabili come gli Its e i percorsi IeFp. Inoltre, è difficile sviluppare una politica efficace per la formazione continua se si frammentano le risorse in oltre venti fondi interprofessionali, ciascuno con interlocutori diversi a livello regionale. Infine, bisognerebbe superare l’idea che i contributi per la formazione rappresentino aiuti di Stato: si tratta, piuttosto, di investimenti strategici per la crescita del capitale umano».

La scuola oggi deve svolgere anche un ruolo di formazione al lavoro o è giusto che si dia spazio a una formazione culturale generale dei ragazzi?

«La scuola ha innanzitutto un compito educativo vale a dire deve scommettere sulla libertà dei ragazzi, facendo venir fuori i loro talenti. Deve scoprire e valorizzare le attitudini dei ragazzi. È un tempo di crescita e consapevolezza delle proprie doti e delle proprie aspettative. Se il ragazzo non scopre questo, farà più fatica poi nel mondo del lavoro».

Le imprese investono sufficienti risorse nella formazione? 

«In Campania gli imprenditori che investono con continuità nella formazione sono pochi e spesso i budget destinati dipendono esclusivamente dai finanziamenti disponibili».

Rileva differenze tra le diverse aree geografiche italiane relativamente al ruolo attribuito alla qualificazione e riqualificazione dei dipendenti e dei lavoratori?

«Le principali Agenzie per il Lavoro del Paese hanno sedi soprattutto nel Centro-Nord, mentre al Sud la loro presenza è ancora molto limitata. Questo riflette anche una diversa percezione e valorizzazione della formazione e riqualificazione del capitale umano».

Una buona formazione potrebbe aiutare anche a ridurre il numero degli incidenti sul lavoro? 

«Sì, se è intesa come cultura della sicurezza. Troppo spesso, per rispettare i tempi di produzione, si tende a ignorare o bypassare le procedure di sicurezza. Anche la gestione dei turni può incidere: la stanchezza aumenta il rischio di errore. La sicurezza, però, è prima di tutto una scelta aziendale. Quanti luoghi di lavoro – al di fuori di quelli in cui è obbligatorio – sono dotati di dispositivi salvavita come i defibrillatori? E non parlo solo di palestre o scuole, ma anche di uffici, pullman privati, o altri ambienti di lavoro».

Ci sono storie e vicende particolari che le sono rimaste impresse? 

«Il lavoro svolto con i disoccupati storici di Napoli, che sono stati riqualificati e stabilizzati: persone adulte a cui era stata negata una reale possibilità di crescita. Credo profondamente che sia attraverso il lavoro che una persona scopre sé stessa. È anche per questo che, insieme ad alcuni colleghi, ho lavorato con determinazione per portare in Campania il modello Istruzione e Formazione Professionale, attraverso una sperimentazione finanziata circa otto anni fa dal Ministero del Lavoro. Oggi questo modello è stato finalmente stabilizzato».

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