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Mercato del lavoro: in Italia abbiamo soluzioni a lungo termine?

Il Consorzio si occupa di gestione dei servizi e sviluppa piani di orientamento e apprendimento continuo

di Giulia Calvaruso
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di Marinella Perrini

Cosa stiamo davvero facendo per risolvere i problemi storici dell’occupazione in Italia? Il mercato del lavoro italiano è pieno di squilibri che continuano a colpire alcune categorie sociali ormai da tempo ai margini. Donne, giovani, disabili, persone con basso livello di istruzione: sono loro i veri protagonisti di un sistema che fatica a includerli. 

Le sfide aperte

La partecipazione delle donne del Sud al mondo del lavoro è, diciamolo chiaramente, una delle questioni più critiche. I livelli sono tra i più bassi d’Europa. Ma il problema non è solo culturale: la cronica mancanza di servizi di supporto, come asili nido e strutture per la cura familiare, rende difficilissimo per molte donne bilanciare lavoro e vita privata. Questo è un vero ostacolo per l’accesso al mercato del lavoro che ha ricadute negative non solo sulle donne, ma sull’intera economia del Mezzogiorno.

Non va meglio per i giovani e i Neet: ragazzi che non studiano, non lavorano e non partecipano a percorsi formativi. Un’intera generazione che fa fatica a trovare opportunità e che finisce per essere inghiottita dal lavoro precario o, peggio, dal sommerso. Un problema enorme che rischia di precludere loro un futuro stabile.

E poi ci sono i disabili, un’altra grande sfida per l’Italia. Nonostante ci siano leggi e incentivi per agevolare l’assunzione delle persone con disabilità, le difficoltà, sia operative che culturali, restano. Le aziende, spesso e volentieri, non assumono personale disabile oltre le percentuali minime richieste dalla legge, escludendo così di fatto una parte della popolazione che potrebbe dare molto. 

A tutto questo si aggiunge il problema demografico. L’Italia sta invecchiando rapidamente e il tasso di natalità è tra i più bassi d’Europa. Il calo della popolazione attiva rappresenta una vera sfida: senza un incremento della partecipazione al mondo del lavoro di giovani, donne e disabili, l’Italia rischia di rimanere senza le risorse umane necessarie a mantenere in piedi il suo sistema economico e di welfare.

La necessità di interventi strutturali

Tutti questi problemi ci dicono una cosa chiara: abbiamo bisogno di un piano di interventi strutturali. Formazione, inclusione e politiche attive del lavoro devono essere i pilastri di una strategia che ci aiuti a superare le difficoltà di un mercato in continua evoluzione e sempre più competitivo.

Ecco che entrano in gioco alcune delle misure che Italia e Ue hanno già introdotto negli ultimi anni per provare a dare una risposta concreta: Garanzia Giovani, Reddito di cittadinanza e Programmi regionali di formazione professionale, tanto per citarne alcune. Ma si tratta davvero di soluzioni efficaci? 

Garanzia Giovani è un programma che, fin dal 2014, ha cercato di facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Formazione, apprendistato, stage: tutto pensato per dare una mano ai ragazzi tra i 15 e i 29 anni. Il Reddito di cittadinanza invece, nato con l’idea di spingere chi ne beneficiava a formarsi o riqualificarsi, è finito per diventare più un sussidio che una vera opportunità di crescita. E i Programmi regionali? Molti di questi sono finanziati con fondi europei e puntano a rispondere alle esigenze locali del mercato del lavoro, ma la domanda resta: sono davvero sufficienti?

Supporto per la formazione e il lavoro (SFL)

Nel 2023, il governo italiano ha introdotto il Supporto per la formazione e il lavoro. Una misura pensata per chi è in difficoltà e ha bisogno di migliorare le proprie competenze per restare competitivo. Un’indennità di 350 euro al mese, a chi ha tra i 18 e i 59 anni e un Isee sotto i 6.000 euro, legata però alla partecipazione ad attività di formazione e riqualificazione. Un sistema che punta a far incontrare domanda e offerta di lavoro, cercando di portare chi è ai margini del mercato verso un’occupazione stabile. Come funziona? Tutto parte con l’iscrizione e la profilazione. L’utente si iscrive al Sfl compilando un Patto di attivazione digitale, in cui si impegna a cercare attivamente lavoro e a partecipare ai percorsi formativi. Poi, presso i Centri per l’impiego, si formalizza un Patto di servizio personalizzato, che delinea il percorso di formazione o di riqualificazione del beneficiario. Ma il vero cuore del programma è il Piano formativo personalizzato. Che, costruito su misura, può includere corsi di formazione professionale, apprendistato o tirocini in azienda, con l’obiettivo di allineare le competenze del beneficiario con quelle richieste dal mercato del lavoro. Il sostegno economico arriva durante la partecipazione ai percorsi formativi o lavorativi, con l’indennità condizionata alla frequenza effettiva dei corsi o al rispetto delle attività previste. Al termine del percorso, gli utenti sono aiutati nella ricerca attiva di lavoro, tramite tirocini e servizi di orientamento.

La misura ha certamente i suoi vantaggi: permette l’aggiornamento delle competenze, aiuta nell’integrazione con il mercato del lavoro e offre percorsi personalizzati che possono rispondere meglio alle esigenze dei lavoratori. Ma la sua efficacia dipenderà dalla portata innovativa della strategia nella quale questa misura sarà inserita e dalla capacità del sistema di rispondere in modo tempestivo e mirato alle esigenze dei lavoratori e delle imprese. Ci sono però dei rischi. Potremmo ritrovarci con una parte della popolazione disoccupata o inattiva che, pur avendo a disposizione queste opportunità, preferisce restare ai margini o continuare a lavorare in nero. E se la formazione non segue il passo delle nuove tecnologie? Il rischio è di formare persone con competenze che non servono più, vanificando gli sforzi fatti.

Di qui la necessità di una collaborazione stretta e funzionale tra enti formativi, Centri per l’impiego e imprese; una collaborazione che però è storicamente condizionata dalle rigidità amministrative che caratterizzano il sistema italiano e ne hanno rallentato la capacità di reazione, lasciando spesso disoccupati e imprese insoddisfatti.

SIISL: una piattaforma per l’inclusione

Il Siisl (il Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa costruito da Inps su input del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali) punta proprio a risolvere questi problemi in un unico spazio digitale. L’idea di fondo è piuttosto semplice, ma estremamente potente. Grazie al Siisl, tutti gli attori coinvolti – dai Centri per l’impiego alle imprese, passando per enti di formazione e pubbliche amministrazioni – avranno accesso a una piattaforma comune in cui far confluire dati aggiornati in tempo reale.

Oggi la piattaforma ospita i percorsi per l’attivazione delle misure di Sfl e Adi (assegno di inclusione), ma costituirà un’opportunità unica per le aziende che non solo potranno accedere a un ampio bacino di dati su profili professionali già profilati e pronti per l’inserimento nel mercato del lavoro, ma potranno direttamente collaborare con gli enti formatori per orientare i contenuti dei corsi verso le competenze più richieste, creando così un vero e proprio circuito virtuoso tra formazione e lavoro.

Anche per gli enti formativi, il Siisl apre nuove prospettive. La piattaforma consentirà loro di mirare meglio l’offerta formativa, adattandola alle reali necessità del mercato. Non si tratta solo di erogare corsi standardizzati, ma di sviluppare percorsi personalizzati e più flessibili, tarati sulle richieste specifiche delle imprese e sui bisogni dei singoli lavoratori. Questo permetterà di ridurre il divario tra la formazione teorica e l’applicazione pratica nel mondo del lavoro, migliorando così il tasso di inserimento dei disoccupati e degli inattivi.

Uno degli aspetti più innovativi del Siisl è la sua interoperabilità. Questo termine tecnico, spesso usato in contesti digitali, significa che il sistema può dialogare con altre piattaforme e banche dati, sia a livello nazionale che europeo. Cosa significa in concreto? Per esempio, i dati raccolti in Italia potrebbero essere condivisi con altre piattaforme europee, facilitando la mobilità internazionale del lavoro e aiutando le imprese italiane a trovare competenze anche all’estero, e viceversa. Inoltre, l’interoperabilità permette alle istituzioni pubbliche di avere un quadro più chiaro e aggiornato della situazione lavorativa e formativa del Paese, fornendo loro strumenti concreti per adattare le politiche sociali e del lavoro in modo più efficace.

Prospettive per il futuro

In futuro, il Siisl potrebbe fare un passo ulteriore, diventando non solo uno strumento di gestione, ma un vero e proprio motore di previsione delle dinamiche del mercato del lavoro. Come? Grazie all’implementazione di algoritmi avanzati e strumenti di intelligenza artificiale, il sistema potrebbe analizzare i dati raccolti per anticipare le tendenze del mercato e suggerire azioni ad hoc. Per esempio, potrebbe indicare quali settori avranno bisogno di più lavoratori qualificati nei prossimi anni o suggerire corsi di riqualificazione in base alle competenze più richieste, migliorando così l’efficacia delle politiche attive del lavoro. Si tratta di una svolta? Sì se sarà gestito in modo agile e se tutti gli attori coinvolti saranno in grado di sfruttarne appieno le potenzialità. Al momento, è un primo passo importante per modernizzare il sistema del lavoro e renderlo più inclusivo e flessibile. Ma il vero successo dipenderà dalla capacità di far dialogare tra loro tutti i pezzi del sistema: formazione, occupazione, welfare e innovazione.

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